Ben tre eventi hanno caratterizzato il recente appuntamento svoltosi nella Chiesa napoletana di S. Maria Maggiore, nell?ambito della seconda edizione della Settimana di Musica Contemporanea, Festival organizzato dall?Associazione Dissonanzen, in collaborazione con l?Istituto Francese Grenoble e il Festival Suona Francese. Il primo ha visto alcuni dei solisti dell?Ensemble Dissonanzen confrontarsi con un programma di brani di musica contemporanea di autori italiani (dei quali tre napoletani e presenti all?avvenimento). In apertura il flautista Tommaso Rossi ha eseguito Ripartita per flauto dolce(1992), di Giorgio Tedde, che aveva come punto di partenza la Partita in la minore di Bach e si dipanava attraverso polifonie vertiginose, esaltate dalla bravura dell?interprete e dalla particolare acustica della chiesa. E? stata poi la volta di Spinning Lilk di Claudio Lugo, in prima assoluta, magistralmente interpretato da Daniele Colombo. Si trattava di una versione, per violino moderno, di un precedente pezzo che risaliva al 2004, scritto per lo spettacolo Tempest ed affidato in quella occasione al violino barocco di Nicholas Robinson. Anche le Tre Micro-meliche di Apollo e Marsia della napoletana Alessandra Bellino, per flauto dolce e violino, rappresentavano una “prima” quanto mai interessante. In tre brevissimi frammenti, la compositrice è riuscita a richiamare sonorità antiche ed a presentarle secondo una visione moderna, utilizzando come spunto la leggendaria e impari sfida musicale fra una divinità ed un satiro, conclusasi con lo scorticamento di quest?ultimo, reo di essersi vantato della sua bravura esecutiva, urtando così la suscettibilità di Apollo. Abbiamo poi ascoltato, di Giacinto Scelsi, la prima delle Tre Danze di Shiva, affidata a Marco Cappelli, napoletano trapiantato a New York, altro interprete di caratura mondiale, che dalle chitarre riesce a ottenere qualsiasi suono. Nel caso in esame, sonorità arabeggianti erano di volta in volta prodotte pizzicando le corde o percuotendo lo strumento. Cappelli ha poi concluso il concerto con Behind the Mirror, una sua composizione che si avvale di una chitarra con due gruppi di corde incrociate, collegate ad un complesso sistema che permetteva allo strumento, anche in questo caso, di emettere suoni inusuali. Definita da alcuni un esempio di “extreme guitar”, per la sua concezione fuori dall?ordinario, viene considerata dal musicista-chitarrista “una micro-istant suite composta da un numero X di movimenti lampo, dove la variabile X dipende dall?acustica della sala, dalla risposta del pubblico e dall?umore contestuale dell?interprete”. Fra le due esibizioni di Cappelli, ha trovato posto Non è una carezza, per flauto dolce (2007), di Patrizio Marrone, neo direttore del Conservatorio di Napoli, caratterizzato da un?insolita introversione, sicuramente legata al tema prescelto, fortemente ancorato al sociale. Infatti il lavoro, scritto per Tommaso Rossi, che lo ha eseguito con grande intensità, fa riferimento al manifesto della campagna promozionale della “Lega del filo d?oro”, dove appare una foto di Renzo Arbore con un bambino sordocieco in braccio, che sembra lo stia accarezzando, accompagnato dallo slogan “Questa non è una carezza” (ma è l?unico modo per comunicare). Dopo l?ampia panoramica sulla musica moderna strumentale, variegata e ricca di sostanza, si è passati al secondo momento, con l?inaugurazione delle quattro installazioni sonore, curate da Agostino di Scipio, docente della Scuola di musica elettronica del Conservatorio di Napoli, e dai suoi alunni. Di queste due potevano essere definite “storiche”, mentre le altre due erano recentissime. Le prime facevano riferimento a Imaginary Landscape n. 5 di John Cage e a With Hidden Noise di Marchel Duchamp. Il brano dell?autore statunitense, concepito all?inizio degli anni ’50, prevedeva una partitura che richiede l?utilizzo di 42 dischi diversi, di qualsiasi genere musicale (meglio ancora se poco gradito), frazionati e riuniti seguendo uno schema ben preciso, in una sorta di velocissimo zapping ante-litteram di natura sonora. Dal canto suo, Duchamp aveva concepito, già nel lontano 1916, delle scatole, all?interno delle quali vi era “qualcosa di irriconoscibile al suono”, dando vita ad un sistema che diventava sonoro nel momento in cui veniva agitato dal fruitore, anticipando di circa 30 anni quella che, grazie a Pierre Schaeffer, avrebbe assunto il nome di “musica concreta”. Per l?occasione Di Scipio e Stefano Silvestri si sono avvalsi di otto lattine riempite da differenti oggetti. Relativamente alle due installazioni contemporanee, quella denominata d?Impulso, di Roberto Pugliese, sfruttava mezzi di riproduzione audio low-fi (lettori mp3, diffusori acustici), un microfono ed un computer, per trasformare il suono dell?ambiente in una pioggia sintetica, funzione di diverse variabili, fra le quali la scarsa qualità dei diffusori, l?acustica della sala ed il rumore della sala stessa (che dipende anche dal numero, dalla posizione rispetto al complesso e dalla esuberanza dei visitatori). Infine Synt?xis di Massimo Scamarcio, sempre sfruttando i suoni circostanti, si avvaleva di un sistema di elaborazione sonoro basato su algoritmi generativi, i cui impulsi apparivano sullo schermo di un computer, sotto forma di parole illuminate più o meno intensamente. La terza ed ultima parte della serata era rivolta alla musica elettroacustica, con la regia del suono curata dagli studenti della Scuola di Musica Elettronica del Conservatorio di Napoli. Nell?ordine si sono susseguiti Phoné di John Chowning, un classico della computer music, Studio Sonoro di Stefano Silvestri in prima esecuzione assoluta, Lontano di Francesco Galante e un?altra “prima”, il Decimino per il diagramma dell?impiccato di Giosuè Grassia, con voci, oggetti sonori, materiali pre-registrati in collaborazione con l?Ensemble Vocale del Conservatorio di Benevento. Sempre in riferimento al Decimino va ricordata l?estrema suggestione, una certa lunghezza del brano e la conclusione consistente nell?arrivo sulla scena di dieci studenti, che utilizzavano il materiale sonoro di Duchamp, quasi un ideale collegamento con le installazioni sonore osservate in precedenza, nonché una messa in pratica delle stesse. Nell?ambito della stessa ottica era concepito il gran finale, nel quale i danzatori Alessandra Petitti e Mario Torella (nella foto di Sergio Tassi), davano corpo, con la loro intensissima gestualità, alle note frammentate di Imaginary Landscape n. 5 di John Cage. Prima di chiudere questo articolo, necessariamente lungo, visto che doveva riassumere una manifestazione della durata di quasi quattro ore, vanno fatte alcune considerazioni. La prima riguarda la diffusione della musica moderna in Italia. Non siamo molto esperti in materia, ma abbiamo come l?impressione che, per una serie di differenti motivi, solo in questi ultimi tempi vi sia un maggiore impegno nel recuperare il ritardo accumulato dal nostro paese al riguardo (una cinquantina d?anni?), rispetto ad altre nazioni musicalmente più all?avanguardia. Due, a nostro avviso, le cause principali. Da una parte la mancanza assoluta di una cultura musicale, che sta favorendo l?affermarsi di sedicenti profeti, che proclamano ai quattro venti di voler “reinventare la classica per i giovani” (sic!), dall?altra il prevalere per troppi anni di autori (pochi e nemmeno tanto buoni), che hanno fatto tabula rasa delle esperienze di chi li ha preceduti ed imposto la loro paccottiglia contrabbandandola per opera d?arte. Così molto pubblico si è perso per strada e tanti altri hanno finito per considerare i pezzi moderni privi di qualsiasi regola, in balia dell?esecutore di turno, che poteva tranquillamente steccare o saltare a piacimento le note, tanto nessuno se ne sarebbe accorto. Un convincimento completamente sballato perché, come abbiamo potuto constatare anche nel recente concerto dei solisti dell?Ensemble Dissonanzen, se il posto dei tre formidabili esecutori fosse stato preso da altri musicisti, soltanto bravi, il fallimento finale era assicurato. In ultimo vogliamo spezzare una lancia in favore dello straordinario pubblico che ha partecipato a questa serata, per certi versi memorabile. Sarà anche vero che la musica contemporanea è seguita da una élite ancor più ristretta di quella che ama la classica, ma ben venga questo carattere elitario, se si accompagna ad un?attenzione e ad un?educazione, che ormai non abitano più da molto tempo le sale dove si esegue la cosiddetta musica colta, riempite troppo spesso da gente che si definisce appassionata, ma che durante i concerti non si fa nessuno scrupolo a scartocciare caramelle, agitare braccialetti percussivi o lasciar squillare impunemente i cellulari. E, chiamando in causa l?Arbore di una pubblicità, molto meno impegnata di quella presa come riferimento dal maestro Marrone, chiudiamo con un “Meditate, gente, meditate!”